
Ho vissuto gli ultimi anni nel segno dell’impotenza. Ho sempre avuto l’interesse per il futuro e nella mia mente si era radicalizzato un sentimento fortemente negativo: ogni cosa sta andando nella direzione sbagliata, si sta avviando inevitabilmente verso il baratro.
Guardo al clima, all’ambente, ai rapporti sociali, ai conflitti… guardo al mondo del commercio, alla distruzione dei piccoli negozi e al trionfo della grande distribuzione, guardo alle piccole proprietà contadine sempre più in crisi e al trionfo della concentrazione della terra nelle mani di grandi produttori e di pseudo consorzi che invadono le terre di mais e soia, vedo industrie che producono cibi sempre meno genuini pubblicizzandoli con mulini bianchi e richiami ad una “naturalità” che negano sia nella produzione, nella distribuzione e della genuinità…
E poi colgo tutta la falsità di racconti che narrano di eccellenze: prodotti finanziari che ti assicurano grandi redditi per poi impossessarsi di tutto, favole che parlano di start up che generano grandi speranze che falliscono in silenzio poco dopo ( non tutte, per fortuna), di giovani che riscoprono la terra ( ma che dopo pochi anni la abbandonano perché non c’è trippa per gatti), discorsi di difesa per i redditi più deboli che poi si concretizzano nell’aumento delle disparità sociali.
insomma, per farla breve, io non ho alcuna fiducia in questo sistema economico, politico, sociale… locale, nazionale, mondiale.
Sono malato. Due mesi fa, mentre tagliavo la legna, un bastone si è incastrato nella catena della motosega. Mi è arrivato a tutta forza contro la tibia. Dolore, ma ho stretto i denti. Poi dopo poco mi sono accorto che grondavo sangue come una fontana. Ho tamponato la cosa alla meno peggio ed ho continuato. Dopo un mese avevo fitte fortissime…. continuavo a far finta di niente, tanto per non dare soddisfazione alla ferita. si era formata una crosticina che sistematicamente spurgava un qualcosa di rosato. Non buono, mi son detto. Ho perfino fatto una diagnosi che si è rivelata esatta: infezione! Va bene, passerà.
Ho confessato la cosa a Paola che senza nemmeno aspettare un attimo mi ha costretto ad andare dal medico. E’ iniziata la cura…Ecco, da quel momento ho iniziato a guarire. Non ho ancora finito, ma sono certo che da quel momento è cambiata la prospettiva: non più passività, non più laisser-faire, ma consapevole presa di coscienza, lottare e guarire, fare di tutto per uscire da questo piccolo, ma sgradevole, problema.
Okey, questa piccola parabola è, appunto, una parabola ed ha il valore che ha (sono un esperto in tautologie!) però qualcosa vorrà pur dire.
Mi sono imbattuto nel pamphlet di Guido Viale: dal lavoro alla cura – Risanare la Terra per guarire insieme. Ho capito che da là, iniziava la strategia per uscirne.
Forse nulla di nuovo eppure in questo libro di poche pagine c’è una chiarezza di prospettive non certo miracolistiche, ma finalmente concrete. E’ come dire: vecchio mio o lasci che la tua infezione continui oppure ti metti nella prospettiva di provare a guarire. Certo che se stai là a stringere i denti e far finta di pomi non ne esci.
Tra le altre cose il libro di Viale mi ha introdotto ad un bellissimo altro testo collettivo che prende le mosse dall’enciclica di Papa Francesco “Laudato sii” che mi sento di dover segnalare perché rafforza la mia scoperta: cominci a guarire quando cominci a pensare alla cura!


- E’ evidente che è forse il caso di chiarire che su il significato di cura, io ci ho giocato un po’ sopra. infatti ” il concetto di cura, inteso come finalità e senso dell’agire umano in campo economico, ma anche e soprattutto, in quello sociale, culturale ed ambientale, è stato giustamente contrapposto a quello di profitto (“società della cura” contro “società del profitto” ) e anche a diversi concetti a esso correlati come competizione, economia di mercato, crescita e sviluppo economici” (Guido Viale pag. 12)
- * il quadro di Paola che ho messo all’inizio di questo post mi si è disvelato solo ora.
- E’ cosi che succede, a volte, con l’arte. E’ un quadro degli anni 90 e appartiene ad una serie di dipinti che avevo “letto” come una critica alla condizione in cui era relegata la donna tutta casa e chiesa. C’era anche la “cura” come condizione affidata alla donna, o meglio, alla condizione in cui è relegata. Quasi mai la visione di Paola si limita alla “critica”, ma tende piuttosto verso una visione positiva, quasi gioiosa. ma questa è un’altra storia.
Cose che dici solo quando… scrivi!
È il tuo primario modo di esprimerti la scrittura!
grazie